Osate vivere

Dal libro "L'audacia di vivere" di Arnaud Desjardins.

Un giorno a una domanda sulla morte mi si è presentata spontaneamente questa risposta: “Tu non hai paura della morte, hai paura della vita”. Ho riflettuto e mi è apparso con certezza quanto quella risposta fosse vera: la paura della morte è tanto più grande quanto più non si è osato vivere. Se davvero non avrete più paura della vita non potrete più avere paura della morte perché avrete scoperto in voi stessi cos’è veramente la Vita, non la vostra vita ma la Vita unica e universale che ci anima, e quindi vi apparirà evidente che quella vita è indipendente dalla nascita e dalla morte.

Sapete che gli occidentali comunemente contrappongono la vita alla morte, mentre per gli orientali l’opposto della morte è la nascita, dal momento che la vita si esprime in un movimento perpetuo di cambiamenti, in un gioco ininterrotto di nascite e di morti.[...] La nascita di un bambino è la morte del neonato, la nascita dell’adolescente è la morte del bambino.
  
Osare vivere è osare morire a ogni istante, ma è ugualmente osare nascere, vale a dire superare le grandi tappe dell’esistenza in cui ciò che siamo stati muore per fare spazio ad altro, con una visione rinnovata del mondo, pur ammettendo che ci siano diversi stadi da superare prima dell’ultima tappa del Risveglio. Questo significa essere sempre più consapevoli che a ogni istante si nasce, si muore e si rinasce. Ma osare vivere significa anche semplicemente non avere più la paura di ciò che portiamo in noi stessi. E sono sicuro che molti di voi sono d'accordo con me, soprattutto quelli che hanno incominciato a scoprire il loro inconscio. Avete paura di quello che portate in voi perché sapete che non potete contare completamente su voi stessi, che potreste mettervi in situazioni per le quali poi vi mordereste le mani. Ma avete paura di quello che portate in voi stessi anche perché da bambini vi è capitato di essere brutalmente contrastati nelle vostre espressioni, e ciò che era una forma della vostra gioia di vivere e del vostro entusiasmo ha attirato su di voi una catastrofe: vi hanno coperto di rimproveri mentre ciò che stavate facendo vi rendeva felici.

E noi non capivamo come e perché i nostri genitori fossero così arrabbiati mentre a noi sembrava così divertente tagliare con un gran paio di forbici le più belle tende della casa o, come ho fatto io, mettere nella vasca piena tutte le scarpe di mia sorella, mio fratello, mio padre e mia madre per farle galleggiare come barchette. I miei genitori non avevano molti soldi all’epoca, né molte scarpe nell’armadio, ma per me erano sufficienti per provare a farle galleggiare. E’ un ricordo insignificante e innocuo, tuttavia ho rivissuto con intensità tragica la disperazione di mia madre, la severità di mio padre e la mia felicità infranta. Perché ciò che a me sembrava così meravigliosamente divertente aveva provocato un tale turbamento in mia madre quando aveva visto che le scarpe si erano rovinate?

Spesso quelli che agli occhi dei nostri genitori sono piccoli incidenti agli occhi dei bambini che siamo stati sono eventi terribili. La paura di ciò di cui siamo capaci si insinua dentro di noi molto rapidamente e di qui, se i genitori non sono particolarmente capaci, cominciamo noi stessi a soffocare la nostra forza vitale, il nostro ‘slancio vitale’. Cominciamo a reprimere la nostra pulsione vitale. E poi lo sapete bene (la psicologia ce lo insegna e forse l’avete potuto verificare personalmente) che la scoperta della sessualità si fa spesso nel malessere, nell’incomprensione, nel senso di colpa per la masturbazione infantile, e che gli impulsi che si svegliano nell’adolescenza, se non trovano lo spazio per espandersi completamente come vorremmo, ci turbano e ci disorientano. E in questa forza vitale, nella libido, c’è una potenza molto grande che voi non riconoscete completamente. A tal punto che, oggi che la libertà di costumi è molto più grande, oggi che i mezzi per esprimersi sono immensi e i viaggi facilitati, la maggior parte di voi non osa più vivere pienamente. Ed è quando non lasciate più spazio allo slancio vitale dentro di voi che cominciate ad aver paura della morte. Ciò che è veramente importante è che vi liberiate della paura di vivere.

Questa paura di vivere comporta due aspetti: da una parte la paura di tutto ciò che portiamo in noi stessi, dall’altra la paura delle situazioni concrete con le conseguenze a cui possono dare origine. La paura di vivere diviene ben presto paura di soffrire: meglio vivere meno per soffrire meno. Osservate, guardate, domandatevi se questo vi riguarda o no. Questa verità mi si è imposta nei nostri colloqui privati e nelle nostre riunioni comuni. Avete paura di vivere perché vivere significa assumersi il rischio di soffrire. Questa paura ha le sue radici nelle vostre esperienze passate perché più avete vissuto più siete stati infelici. Non soltanto perché avete vissuto l’entusiasmo di mettere delle scarpe in una vasca, ma perché quando vi siete innamorati all’età di 18 anni avete sofferto tanto. E molto spesso nasce questa decisione, a volte inconscia, a volte molto cosciente: “Non voglio più soffrire così”. E’ una bella decisione, ma ne consegue un’altra decisione che, quella sì è completamente falsa: “di conseguenza non amerò più”, o “di conseguenza non mi metterò più in situazioni pericolose”. Bisogna aver chiaro che, per chi è impegnato nel cammino della saggezza e vuole poco a poco penetrare il mistero della sofferenza, è indispensabile assumersi il rischio di vivere e di soffrire.

D’altra parte, se da bambini la nostra vitalità e forse anche la nostra esuberanza sono state spesso associate a rimproveri “non devi”, “come hai osato!”, e dunque accompagnate da un giudizio di valore, questa ricchezza di vita è stata abbondantemente condannata anche dagli insegnamenti spirituali che esaltano l’ascetismo, l’austerità, la rinuncia, il ritiro in un monastero o in una grotta d’eremita, e, per finire, ‘la morte a se stesso’ o ‘la morte dell’io’. Io stesso sono rimasto sorpreso quando un uomo austero come Swami Prajnanpad insisteva sul valore dell’audacia di vivere, di esporsi e di non sottrarsi ai colpi della vita. Questo atteggiamento mi sembrava in contraddizione con la spiritualità induista come io la intendevo [...]

Chi conosce soltanto un poco l’opera del celebre, forse troppo celebre Rajneesh, sa quanto egli abbia insistito sul tema “osate vivere”, utilizzando parole come ‘celebrare’ o ‘celebrazione’: celebrate, fate della vita una celebrazione. Ma sebbene trovo ammirabili certe pagine di Rajneesh di questo o quel libro, non mi avvalgo del nome di un uomo che non ho mai avvicinato e di un ashram dove non ho mai messo piede. Mi attengo ai maestri che hanno segnato la mia strada.

Tutto ciò che avete sentito dalla voce dei grandi saggi o letto in testi della tradizione spirituale è certamente vero, e ‘la morte a se stessi’ è certamente un aspetto fondamentale del cammino spirituale. Non possiamo rimanere nel bozzolo e diventare farfalle alle stesso tempo. I bozzoli non mettono e non metteranno mai le ali: ma cominciamo dall’inizio. Se desiderate raggiungere una spiritualità che non sia una caricatura, abbiate il coraggio di riconoscere tutta la forza vitale che esiste nel bambino e che in voi è rivolta contro se stessa. Certo, l’effervescenza del bambino diminuisce con l’età.  Non ci si aspetta che una persona anziana sia vivace come un bambino di due anni che ha voglia di correre dappertutto e di mettersi a scalare ogni cosa. Ma sono convinto che una gran parte di ciò che attribuiamo all’avanzare dell’età derivi di fatto dalla repressione della forza vitale in noi, innanzi tutto da parte di chi ci educa, poi da parte dell’esistenza in generale, e infine da parte di noi stessi, e sono convinto che non si può divenire né un asceta né una yogi se si soffoca questa forza vitale [..].

Tutte le forme di educazione, anche se non sono particolarmente religiose, sembrano dire al bambino: “questo va molto bene” e “questo è male, come hai potuto farlo!”. Molto presto, dividiamo il mondo in due e ci formiamo un’idea di ciò che è bene, vale a dire ciò che piace ai nostri genitori o ai nostri educatori, e di ciò che è male, vale a dire, molto semplicemente, ciò che a loro dispiace. 

Per voi si trattava di qualcosa di buono. Per vostro padre e vostra madre, che per altro voi amavate e ammiravate, era male. Dato che necessariamente sono papà e mamma che hanno ragione e quindi sono io che ho sbagliato, non posso più credere in me. Bisogna che diffidi del mio slancio vitale o delle forme che può prendere. In seguito tessiamo la nostra prigione come un ragno la sua tela o un bruco il suo bozzolo, siamo noi stessi che la costruiamo sotto l’impulso dei nostri educatori soffocando le nostre pulsioni sempre di più. [..]. Se una parte delle nostre forze vitali viene utilizzata per reprimerne e negarne un’altra, quanta energia ci resta per esprimerci?
Il senso generale di soffocamento è collegato al soffocamento della forza di vivere stessa, dal momento che la forza vitale si è divisa tra il tentativo di esprimersi e quello di reprimersi. [..]

L’audacia di vivere significa non avere più paura di sé, rifare il cammino inverso, vale a dire sciogliere i nodi e sollevare i divieti che ci hanno condannato a questa paura di noi stessi e a una menzogna di una spiritualità disincarnata, fatta di negazioni. C’è una riunificazione a partire dalla quale possono cominciare il dominio e il controllo. Dopo aver ritrovato il coraggio di riconoscere completamente ciò che è in voi, si tratta di avere il coraggio di gettarsi nell’esistenza, di assumersi i rischi, di accettare di ricevere i colpi dell’esistenza, sapendo già che si verrà esposti al gioco dei contrari: riuscito-fallito, felice-infelice, lode-biasimo. Certo, dovrete far fronte a situazioni che sinora avete considerato dolorose, ma sarete in grado di accettarle dal momento che, se sarete ‘uno con’ una situazione quale che sia, non ne sarete più colpiti e, se viene accettata la sofferenza sfocia nella pace del profondo.

In pratica non esistono grandi destini spirituali che non implichino l’attraversamento di momenti terribili di sofferenza, di smarrimento, di prova. [..] “Ciò che non vi uccide vi fa crescere”. E per morire veramente ce ne vuole. Nessuno di voi è morto, nessuno di voi è arrivato a suicidarsi. Ma tutti voi, in un momento o nell’altro, avete avuto l’impressione di soffrire e di soffrire sempre di più e che la vita fosse dura, difficile, dolorosa. Se comprendete queste nozioni basilari sulle quali tornerò instancabilmente, non avrete più paura di soffrire, perché la sofferenza se accettata, non è dolorosa.

Un uomo accetta di soffrire il freddo se vuole esplorare il polo nord, un altro di subire le intemperie in alta montagna e si espone eventualmente al freddo e alla nebbia, un altro accetta di affrontare una tempesta se naviga in alto mare. Chi è impegnato nel cammino preferisce vivere e soffrire piuttosto che non vivere per non soffrire. E non ho dimenticato che in me, dietro i resti di una educazione troppo severa e a un ideale che non volevo rinnegare, si nascondeva la menzogna e la paura di soffrire.
   
Se avete il coraggio di non reprimervi, di non mentire più a voi stessi, questa parola ‘dignità’ assumerà molto velocemente un significato. Con questa parola così preziosa tutta la morale si trova ricostituita a un altro livello: “Non mi posso abbassare a questo”. Ma tale certezza nasce in me. Non è più la voce dei genitori che parla ancora in noi. Non è più la voce della teologia, né quella di una morale imposta, è una voce che sale in noi stessi che è pura e giusta e ha la funzione di guidarci “It is below my dignity”, non è degno di me comportarmi così oggi [..]. E’ degno di me? Non si tratta più di una voce venuta dall’esterno ma di una convinzione che sale dal profondo. Vedrete quanto questa parola ‘dignità’ vi guiderà, se non mentite più a voi stessi e se ritrovate la pienezza della vostra forza vitale. Ecco la mia verità di oggi, non baro più. Agisco. Mi accetto come sono. Non ho più paura di me stesso. Mi libero da questa paura di me. Oso volere. Oso sentire la mia forza, oso sentire le pulsioni risvegliarsi. Dignità: che cosa faccio? Come agirò? Che cosa è giusto per me oggi? Che cosa mi può far progredire?
                
Osate vivere. Cominciate semplicemente e osate almeno respirare. Osate sentire. E più avete paura della ricchezza, della pienezza, della potenza della vita, più diventate schiavi della testa e dei pensieri. La mente è essenzialmente il frutto di questa paura di vivere . Vi rifugiate in un mondo di idee perché in tale mondo soggettivo potete fare quello che volete. I pensieri corrispondono a nostre tendenze ripetitive che possiamo indefinitamente rimuginare. Più si vive meno si pensa, più si pensa meno si vive. E coloro che sono assillati dalle fantasie della mente, tagliati fuori dalla realtà, possono intendere anche questo messaggio: l’importante non è pensare, l’importante è sentire.

Allora vi dico anche: più pensate meno sentite, più sentite meno pensate. E’ uno dei primi aiuti che vi possono essere dati per vivere è cominciare a osare sentire, senza paura, anche a livello sensuale, sensoriale, molto semplicemente sensualità, sensorialità da cui siamo sempre più tagliati fuori dallo strapotere dell’intelletto. E soprattutto si tratta di assumere per armonizzarli i due poli della realtà in noi, i valori femminili e quelli maschili, lo yin e lo yang, il valore dell’azione e il valore della contemplazione.

Che siamo uomini o donne, meno osiamo vivere e sentire e più ci rifugiamo nell’aspetto maschile dell’esistenza e cerchiamo di agire, di fare qualche cosa, di fare sempre qualche cosa; è il contrario della meditazione, della contemplazione, la nevrosi dell’attivismo. “Che cosa c’è da fare?” 

Mentre i valori femminili detti di apertura, hanno una dimensione in qualche modo spaventosa. A chi mi aprirò? I valori della ricettività e dell’accoglienza sembrano pericolosi! E se mi apro a ciò che si esprime in me stesso è altrettanto pericoloso. Il mondo moderno ha privilegiato in modo disastroso i valori maschili su quelli femminili, la ragione sulla sensibilità, la testa in tutti i campi, l’azione sulla contemplazione. Il femminismo non segna il ritorno al rispetto dei valori femminili ma la possibilità per le donne di essere ancora più maschili degli uomini stessi, il che ha come conseguenza che tutti rinnegano i valori femminili che sono tuttavia preziosi tanto per gli uomini quanto per le donne.

Vivere significa fare spazio il più presto possibile e nel modo più completo possibile ai valori femminili, e domandarci che senso diamo noi alla parola ‘apertura’. Aprirsi significa aprirsi con tutto il proprio cuore. E' sviluppare i valori femminili della ricettività e dell’accettazione [..] E’ scoprire semplicemente: Vivo! Sto vivendo, animato da quella energia infinita che non è la mia vita, ma la Vita. Tutto qui. Supero la mia vita, nella quale inevitabilmente soffoco, quali che siano i miei successi e scopro che sono l’espressione o una forma della Vita Universale dell’energia divina, quella che anima gli uccelli che ascoltiamo cantare, le foglie mosse dal vento, i piccoli germogli verdi in primavera, la vita che anima ogni atomo

Bisogna cercare la non-dualità, l’assenza di conflitto nel sentimento di esistere. Così diveniamo esseri umani integrali e possiamo crescere, realizzarci, dispiegarci. Possiamo sentire la forza vitale salire in noi nella sua pienezza. Sradicate le vecchie paure inconsce di voi stessi, le vecchie paure dell’infanzia e a poco a poco vi liberate dalla sofferenza.

Non abbiate paura. La forza della vita in noi, in voi, in ciascuno, è soltanto rassicurante se la scopriamo alla sua sorgente. Se trovate la via, se osate vivere, se osate aprirvi, vedrete quanto ciò che oggi domina la vostra esistenza, le paure, le sofferenze, i drammi, gli attaccamenti, le emozioni, i pensieri che vi buttano giù, quanto questa schiavitù comincerà a sciogliere i suoi lacci.

Scegliete di vivere.